
Il Manierismo e il Barocco a Nicosia
Il XVI secolo è segnato, fra gli altri avvenimenti, dai contrasti religiosi sorti a seguito della Riforma protestante avviata nel 1517 da Martin Lutero.
Il Concilio di Trento, con la ”Controriforma”, dettò norme per la produzione artistica commissionata dalla Chiesa (ad esempio, un maggior rispetto delle fonti e il bando alle invenzioni gratuite e alle immagini di nudi) che perdurarono per tutto il XVII secolo.
Questo atteggiamento di intolleranza condizionò l’arte in maniera profonda e gli artisti, pienamente al servizio delle classi dominanti (Chiesa e aristocrazia), si adeguarono prontamente a questo nuovo clima: non più immagini rinascimentali che potevano inneggiare alla gioia e alla felicità, ma immagini che suscitavano necessità di pentimento e di sacrificio.Il martirio dei santi divenne uno dei temi più ricorrenti per tutto il Seicento, a testimoniare una nuova visione della religione basata soprattutto sul dolore e sulla mortificazione.
Il Concilio di Trento non fornì norme precise, ma introdusse il principio che le opere destinate alle chiese dovevano essere approvate dal vescovo della diocesi: e se le opere non erano conformi alle aspettative, queste potevano essere rifiutate o si poteva richiederne la modifica. Lo spirito del Rinascimento quindi si esaurisce, anche se nella pittura (definita “manierista”) continua ancora a resistere per qualche decennio, grazie soprattutto a Caravaggio e a Rubens.
Fra i pittori siciliani influenzati dal “Manierismo”, sono da ricordare Pietro Novelli, detto il monrealese (Monreale, 1603 – Palermo, 1647), Joseph de Ribera (1592 – 1645) e Salvatore Rosa (1615-1673).
Pietro Novelli è stato il più importante e influente artista del `600 in Sicilia; fu uno dei maggiori pittori del suo tempo e, il suo percorso umano ed artistico, si sviluppò nell’arco di pochi decenni (coincidenti con il passaggio dal Tardo Manierismo al primo Barocco).
Joseph de Ribera (1592-1645), a Roma nel 1605 incontrò il Caravaggio e farà parte dei quattro allievi ammessi alla sua scuola: Spadarino, Cecco del Caravaggio, Manfredi e appunto il Nostro; nel 1616 egli si trasferì a Napoli.
Nel quarto decennio del Seicento alcune sue opere erano presenti a Palermo nelle collezioni del Duca di Montalto, Viceré di Sicilia, come pure nelle collezioni di Cristoforo Papè Protonotaro del Regno di Sicilia dal 1628, e di Tommaso Joppolo, Dottore in legge e "Maestro Segreto del Regno".
Salvator Rosa, nato a Napoli nel 1615, dopo un periodo di apprendistato presso Joseph de Ribera, si trasferì prima a Roma nel 1639 e poi nel 1640 a Firenze presso la corte del cardinale Giovan Carlo de` Medici, dove fondò l`Accademia dei Percossi, formata da artisti e letterati accomunati da una visione libera e scanzonata del vivere dai risvolti a tratti libertini. Nel 1650 ritornò a Roma, dove morì nel 1673. Il Nostro fu una personalità polivalente che alla fine abbandonò il barocco e la pittura di genere per dedicarsi alle tematiche più disparate, dalle battaglie all`arte sacra fino alla produzione di paesaggi selvaggi e fantastici di gusto quasi romantico.
Tre tele dei suddetti pittori, il Martirio di San Bartolomeo del Ribera, una Madonna col bambino tra Santa Rosalia e San Giovanni del Novelli e un Martirio di San Sebastiano di Salvatore Rosa, facevano parte della famosa raccolta del Principe di Cutò, con sede nel palazzo palermitano situato all`inizio di via Maqueda, che a metà Ottocento risultava in possesso della famiglia Cirino di Nicosia; fu un membro di tale famiglia, monsignor Giovanni Cirino, arcivescovo titolare di Ancira e ausiliare di Palermo, che nel 1869 dispose nel testamento la donazione dei quadri suddetti alla cattedrale nicosiana, dove ai giorni nostri si possono ammirare nell’Aula Capitolare.
Al “Manierismo” seguì il ”Barocco”, periodo artistico che in Sicilia è compreso tra il 1620 ed il 1760. Il termine venne utilizzato non solo per l’architettura ma anche per arti figurative, la letteratura e la musica.
La Chiesa Cattolica intuì l’importanza del linguaggio figurativo del barocco come strumento di richiamo dei fedeli, di esaltazione del sentimento religioso e di arma contro la riforma protestante: condizionate dalle loro commissioni, gli stili e le forme predeterminati del manierismo lasciarono il posto a quelle che sono le caratteristiche dello stile barocco: movimento, illusionismo, ricerca di effetti scenici, grandiosità, abbondanza di linee curve.
In Sicilia, il tardo Barocco segnerà poi nel Settecento una marcata influenza nel campo dell’architettura, che si diffonderà in tutta l’Isola adattandosi alle esigenze e alle tradizioni locali, con i seguenti elementi caratteristici: la presenza di mascheroni e putti a corredo di balconi o delle varie parti orizzontali delle trabeazioni degli edifici, i balconi arricchiti da inferriate panciute in ferro battuto, la presenza di scalinate scenografiche all`ingresso di chiese ma anche di ville e palazzi, le facciate dalla geometria complessa e ricca di elementi e colonne, e gli interni (in particolare quello delle chiese) ricche di sculture lignee, stucchi, affreschi e marmi.
L`arte dello scolpire in legno, in Sicilia, andò di pari passo con la scultura marmorea: dal Cinquecento fino alla prima metà del Seicento, a Palermo lavoravano più di sessanta legnaioli, fra i quali si distingueva la bottega dei De Miceli: Gaspare de Miceli è l’autore del Padre della Provvidenza, crocifisso ligneo conservato nel Duomo di Nicosia, su committenza del 20 Giugno 1630 del canonico D. Giovanni Gussio.
Fra gli scultori lignei è senz’altro riferimento principale fra’ Umile Pintorno da Petralia che, con i suoi crocifissi, per tutto il Seicento, tenne questa attività in alta considerazione.
Fra i pittori, in un ambiente dominato dalla cultura tardo-manierista di gusto spagnolo, è figura di primo piano Giuseppe Salerno, alias lo Zoppo di Gangi: nato a Gangi nel 1570, vi morì nel 1633; studiò a Roma con Guido Reni.
Condivise lo pseudonimo di “Zoppo di Gangi” con un altro pittore gangitano suo contemporaneo, Gaspare Vazzano: di quest’ultimo, a Nicosia, nella chiesa di S. Maria degli Angeli (convento dei Cappuccini) sono conservate la splendida Pala d’altare (del 1615) raffigurante la Madonna degli Angeli fra i santi Domenico, Francesco, e le sante Chiara e Caterina; e due tele con dipinte S.Lucia e S. Barbara.
Dopo il successo dei Laurana, del Gagini e dei suoi allievi, la maestranza nicosiana si era organizzata mandando i propri figli ad apprendere l`arte del bulino e della sgorbia a Palermo, Messina e anche nelle città del Nord Italia: da queste esperienze venne fuori una generazione di artisti locali che, all’inizio del 1600, si organizzò nella Corporazione di Arti e mestieri, scegliendo come sede la chiesa di S. Antonio Abate, si diede uno Statuto simile a quello delle maestranze di Palermo, fece sentire la propria voce anche in Consiglio Comunale e rilanciò la produzione artistica locale: protagoniste di questo miracolo furono le Botteghe dei Calamaro, dei Cardella, dei Salomone, dei La Porta, dei Campione, dei Filingelli, dei Li Volsi, e quella dei frati Minori Osservanti in cui lavorarono maestri di grande fama come fra` Umile da Petralia e fra` Macario da Nicosia.
Nel 1626 l`artista più influente nel territorio nicosiano era Vincenzo Calamaro (riconosciuto dalle maestranze come il Maestro dei maestri, veniva eletto Console dei pittori), che si avvaleva della collaborazione del fratello Sigismundo e del figlio Giovanni Calogero: Vincenzo fu scultore e pittore valente, e fra le sue opere si annovera il Padre della Misericordia (crocifisso in cartone romano conservato nella chiesa di S. Maria Maggiore).
Della Bottega dei Campione, leader fu il pittore Giacomo, che dipinse la scena dello Spirito Santo sovra gli Apostoli per la chiesa di San Domenico, e il San Lorenzo martire per la chiesa di S. Maria Maggiore.
Nicolò Mirabella (1577-1625), pittore di grande valenza, allievo dello Zoppo di Gangi ed emulo dei grandi maestri toscani, dipinse a Nicosia l’Ultima Cena di Nostro Signore Gesù Cristo, la Deposizione dalla Croce,e la Morte di S. Francesco (le tre tele sono conservate nella chiesa di S. Maria degli Angeli, nel Convento dei Cappuccini); la Morte di S. Giuseppe (1612) nell’omonima chiesa; e quello che è considerato il suo capolavoro, la Circoncisione di Gesù (1612), grande tela collocata nella chiesa di S. Antonio Abate.
Antonio Filingelli (o Filingeri), pittore e scultore del Seicento, si affermò soprattutto come ritrattista; a Nicosia dipinse la Madonna del Rosario (chiesa di Sant’Agata), la Madonna del Rosario con S. Domenico e S. Caterina (chiesa di S. Giuseppe), la Nascita di Sant`Eligio (chiesa di San Nicolò), nonché affreschi nella chiesa di San Nicolò.
Antonio Cardella, altro famoso pittore di inizio Seicento, dipinse invece la Madonna della Consolazione (chiesa del SS.mo Salvatore).
Un Antonio Salamone da Nicosia dipinse un quadro di S. Eligio nel 1633.
Un Gabriele Testa, nel 1630 dipinse, su committenza dei Rettori del Monte di Pietà, il quadro della Madonna della misericordia con S. Niccolò ai piedi.
Paolo Peregrino da Nicosia, scultore, scolpì la statua lignea di S. Cataldo (committenza del sacerdote Giacomo la Porta in data 24 giugno 1599).
Giovanni Gallina da Nicosia che scolpì un coro in noce intagliato (1650) per la basilica concattedrale di Santa Maria Assunta di Santa Lucia del Mela, e il pulpito in marmo di grande finezza scultorea del Duomo di Enna.
Giuseppe Guadagnino, scultore in legno, scolpì la statua Gesù Cristo Risorto (chiesa di Santa Croce), su committenza della Confraternita di Santa Croce del 18 novembre 1668.
Ma in particolare, a Nicosia, tra la fine del `500 e la prima metà del `600, risulta molto attiva la famiglia dei Li Volsi (soprattutto Giambattista e suo figlio Stefano), artisti la cui attività è documentata in tutta l`area nebrode-madonita, con una produzione poliedrica che andava dall`architettura alla scultura, dall`intaglio all`incisione, dalla pittura allo stucco. Il loro stile passava da quello rinascimentale, a volte carico di decoratività ornamentali di tipica ascendenza siciliana tardo-manierista, a quello barocco.
Nella loro bottega si formò il nicosiano Francesco Provenzale che, emulo dei maestri, fu autore del seggio senatorio di Nicosia, scolpito nell`anno 1665.
Nicosia è particolarmente ricca di opere artistiche attribuibili ai Li Volsi (Giovan Battista e il figlio Stefano), soprattutto nelle chiese, dove si distinguono loro numerosi intagli e statue lignei.
Nella Cattedrale di S. Nicolò sono collocati:
- il Coro ligneo del 1622 (di Giovambattista e Stefano Li Volsi, padre e figlio); nei pannelli sono raffigurati l’Ingresso di Gesù a Gerusalemme, il Martirio di S. Bartolomeo, l’Assunzione di Maria con la città di Nicosia ai piedi, e S. Nicola di Bari che soccorre tre povere fanciulle;
- le statue di S. Bartolomeo(di Stefano Li Volsi) e S. Giovanni Battista (di G.B. Li Volsi);
- l’enorme statua lignea di San Nicola (forse di Stefano Li Volsi) adesa sul tetto che copre la crociera; il santo, raffigurato con il bastone pastorale e la mitria sul capo, è attorniato da medaglioni raffiguranti gli Apostoli, dipinti dal nicosiano Antonio Filingelli;
- il grande organo intagliato e dorato, opera di Raffaele La Valle, completata dal nicosiano Carlo Bonaiuto: la scultura al centro, raffigurante Davide che suona la lira, è opera di Stefano Li Volsi.
La basilica di Santa Maria Maggiore conserva:
- una Crocifissone sul Golgota (Stefano Li Volsi), paliotto collocato nella cappella del Sacramento: con sfondo di Gerusalemme, ai piedi di Cristo sono raffigurati i dolenti, ai suoi lati si sta svolgendo il supplizio dei due ladroni; sui lati del pannello centrale, sono raffigurate a rilievo i quadri iniziali della Passione: Cristo nell’Orto degli Ulivi, la Flagellazione, Cristo incoronato di Spine e la Salita al Calvario;
- la statua dell’Angelo Custode (attribuita a G.B. Li Volsi), che guida il piccolo Tobia: le sue vesti, particolarmente curate, imprimo all’opera un intenso dinamismo;
- la statua di San Lorenzo (Stefano Li Volsi);
- la statua di Sant’Onofrio (Stefano Li Volsi);
Sono invece collocate nella chiesa di San Michele Arcangelo:
- una statua di S. Michele Arcangelo (di Stefano Li Volsi) caratterizzata da una lancia in argento e da uno scudo, in cui è incisa la scritta “Quis ut Deus”;
- la statua del santo compatrono di Nicosia, S. Luca il Casale (di Stefano Li Volsi), con sfumature in oro zecchino, e piedistallo in legno che raffigura tre dei suoi miracoli.
Nella chiesa di San Biagio ritroviamo invece:
- il Gruppo ligneo del Cristo flagellato (di G.B. Li Volsi): le statue, un tempo riposte nella distrutta chiesa di San Francesco d`Assisi, oggi si trovano allocate presso la chiesa di San Biagio: dell’insieme, la figura scarna del Cristo è curvata sotto i colpi dei flagelli, e il suo sguardo sofferente e rassegnato è contrapposto agli accigliati lineamenti e alla brutalità dei carnefici;
- la statua lignea di San Biagio (di Stefano Li Volsi)
Ancora dei Li Volsi, in altre chiese di Nicosia, sono presenti le seguenti statue lignee:
- un San Calogero (di Stefano Li Volsi) nell’omonima chiesa;
- un San Francesco di Paola (del nicosiano Stefano Li Volsi) nell’omonima chiesa;
- un S. Rocco e Paolino vescovo nella chiesa di S. Croce;
- un S. Cataldo (di Stefano LiVolsi) nell’omonima chiesa;
- una Immacolata (di G.B. Li Volsi) nella chiesa di S. Elena;
- un complesso scultoreo formato da due figure lignee (la Madonna e Cristo), raffigurante la Pietà , collocato nella chiesa del SS.mo Salvatore (attribuita a G.B. Li Volsi).
Alcuni artisti nicosiani del Seicento raggiunsero fama ed onori anche al di fuori di Nicosia:
- padre Felice Cardella, frate carmelitano, al dire del Provenzale, fu …scultore in osso e avorio molto perfetto, onde sovra questi scolpiva personaggi così al vivo nella positura e nella sottigliezza d`intaglio rappresentati che superava le figure di qualsiasi finissima stampa; nel 1611 scolpì un aspataio per il vicerè duca di Ossuna, opera …che riuscì di tal singolare bellezza che lo mandò in dono alla regina di Spagna;
- Filippo Planzonia (Nicosia 1604 - Roma 1630), intagliatore di avorio e corallo, che a Genova venne molto apprezzato per "...i suoi lavori intagliati, ricercati da principi e baroni, e persino dal Papa Urbano VIII che lo volle a Roma. Lavorò molto e lasciò opere pregiate quali Santa Margherita che tiene legato il Dragone con corta catenella incavata nello stesso pezzo, e Il cavallo in una gabbia della grandezza di un uovo, che si conserva al Museo degli Argenti in Firenze" (A. Mongitore, Memoria di pittori, scultori, architetti, artefici in cera siciliani; a cura di E. Natoli, Flaccovio; Palermo 1977, pag. 35).
G. D`Urso